Le parole di cui si rivestono i sentimenti, si sà, sono in alta percentuale verbalismo affettivo, l’amore poi, non ne parliamo, ne usa tutte le sfumature, dalle più idiote, modaiole, stereotipate e vuote, alle più pesanti e infine ricattatorie.
Soprattutto quando minacciano (e attuano) gesti come quello di quel tale che si è dato fuoco sotto la finestra della ex fidanzata perchè lei non ne voleva più sapere di rimettersi con lui.
Poi, al solito, i giornali, dopo il 25 novembre, tanto sensibilizzati (sic!) alle violenze contro le donne, sono pronti a riprendere e rilanciare la frase clou dell’abbandonato pentito dell’estremo gesto e cioè che è stato un errore perchè “… lei non vale tanto”.
Così il Corriere mette nel titolo questa frase che oltre che essere l’esplicitazione di un palese ricatto, è anche misogina e sessista.
Il ricatto: nell’articolo abbiamo il piacere di leggere dei peluches e dei giocattoli che lui le aveva regalato, del messaggio d’amore a perenne memento che lui aveva lasciato sul muro davanti a casa di lei. Ma lei niente, non ne vuole più sapere, il suo “no” è “no” anche quando lui minaccia il suicidio.
Che lei gli salvi la vita tornando da lui oppure che su di lei pesi il gesto atroce, che lei ne porti la responsabilità e la colpa.
Ma lei continua a dire “no” e il ricatto non funziona e non ha funzionato nemmeno passare dal dire al fare e allora la disillusione è ancora più atroce.
“Quel che mi fa più soffrire è che dopo quel che mi è successo non si sia fatta nè sentire nè sia venuta a trovarmi….” , e allora che dire di lei? quello che direbbe qualsiasi persona che pensa all’altr* in funzione di sè: che lei dopotutto “… non vale tanto”.
Ecco, si cade sempre lì; lei vale solo se il mio ricatto va a buon fine, lei vale solo se torna con me, lei vale in funzione della soddisfazione dei miei desideri, lei vale se asseconda la mia volontà.
Lo chiamiamo sessismo? Sì, anche. Più in generale dominio, quello fetente, pronto a confondere le idee su chi sia la vittima e chi no, chi meriti solidarietà e chi vituperio. Il titolo usato dal Corriere non lascia dubbi perchè mette in rilievo le sofferenze di lui che “sì è dato fuoco per amore” di una ragazza rumena che dopotutto, “non vale tanto”.
Chi dirà del rispetto della volontà della ragazza di dire “no” e non essere ricattata per questo e per questo ammantata di crudeltà, cattiveria, ingratitudine?
Chi glielo spiega a quel ragazzo che il suo errore non è suicidarsi per una donna che non lo merita (altra frase famosa) ma è che ogni donna (come ogni persona) merita rispetto per la propria scelta anche quando questa è “no”?
E l’errore tragico di tutt* è compiangerlo e non spiegarglielo.
Uccidersi per amore è toccante nei romanzi dell‘ottocento, nel feuilletton, nel melodramma; nella nostra realtà è troppo spesso una fuga dall’angoscia dell’abbandono che lascia il cattivo sapore di un ultimo atto punitivo per l’oggetto del desiderio.
Certo, altri anche ammazzano… Tutto, pur di non riconoscere quel “no”.