Ieri un uomo ha ucciso la sorella della moglie perché, dice la cronaca, la riteneva responsabile della crisi del suo matrimonio oppure perché si era invaghito di lei e lei lo aveva rifiutato. Non lo sappiamo e poco importa.
Sappiamo che le ha sparato con fredda determinazione mentre lei gli preparava il caffè; un colpo alla schiena ed uno alla testa. Poi si è suicidato.
Poi sappiamo quello che l’informazione del giorno dopo ci tiene a farci sapere in una costruzione ripetitiva ed ossessiva dominata dal bisogno di collocare gli attori del dramma, l’uomo in primis, in un tutto positivo; operativo ed attivo nel quadro di un corpo sociale con tutte le carte in regola, tutto pulito, nitido, a posto fatto di alpini, sodalizi per le feste patronali, associazioni di volontariato, persone tranquille…, perfino le armi, legittimate dal “legalmente detenute” sono tutt’altro da quello che sono e da quello che servono.
Così nel quadretto naif del giorno dopo dove donnine ed omini hanno contorni definiti, colori puliti ed ogni cosa è al suo posto, una sorta di mulino bianco dove la gallina fa le uova sul cuscino, il femminicida-suicida che rompe la tela solo Dio lo può spiegare. Prendete e mangiate… fino alla prossima.
Perché Samantha è un’altra donna uccisa per mano di un uomo; non la 64esima come dice il Messaggero Veneto, ma la 91esima come dice Bollettino di Guerra che guarda alla realtà per quello che è, senza velleità di costruire quadretti edificanti di autoassoluzioni sociali.
Finiamola con queste cronache ipocrite e melense, finiamola con “il rispetto del dolore” che diventa un alibi per tacere della brutalità degli assassini per poterne poi ricostruire un’immagine tutto sommato positiva.
Finiamola di far finta di essere sani mentre in famiglia si covano e si compiono i peggiori delitti.