C’è una perversione della disumanità che lascia senza parole.
Si accanisce spesso intorno alle persone migranti, in questo caso permessa da leggi barbare ed applicata da sgherri in divisa o in borghese, poco importa perché la loro divisa è la crudeltà.
Succede ad Alina, suicida in una stanza del commissariato di Opicina (Trieste). Era lì per essere spedita al cie di Bologna e poi via dall’Italia, in Ucraina suo paese di origine. Alina ha interrotto la sua spedizione forzata, impiccandosi.
Altri, lo abbiamo visto oggi, vengono rispediti indietro, come pacchi, mani legate e nastro adesivo sulla bocca.
Ed è prassi ordinaria.
In questo paese, la tortura non esiste nemmeno come definizione nel codice penale, ma la si incontra spesso nei commissariati e in tutto quello che sta intorno e dentro i cie.