Abbiamo sempre pensato che la nostra battaglia per l’autodeterminazione, la rivendicazione di quello che riteniamo ci debba essere riconosciuto come libere soggettività, la libertà di scelta su cose che riguardano la nostra vita, ancor meglio i nostri corpi… insomma il nostro modo di essere femministe (ancora? Eh sì…), anzi ecofemministe, non possa essere disincarnato dal luogo che abitiamo….
In esso, che è luogo di enunciazione, nostra cartografia ed ontologia, ragioniamo contro il sessismo, contro la violenza, contro le prevaricazioni, contro ciò che colpisce noi ma anche il luogo intorno a noi.
Quando diciamo che “non vogliamo essere colonia di nessuno” lo diciamo in senso di rivendicazione individuale ma anche territoriale; per noi le due cose sono inscindibili.
Da noi, nella Bassa Friulana si incominciò a parlare concretamente di TAV nel 2006 quando fu propagandata l’idea del corridoio 5 con tutte le stronzate su ammodernamento, progresso ecc. ecc che gli avevano appiccicato addosso. Per noi si trattò dell’ultima invasione…
Come potremmo pensare di essere soggetti liberi in una terra letteralmente stuprata da quella porcheria che è il C5 (ora Corridoio 3) che la trapassa da Lisbona a Kiev (via Totino-Lione e Trieste-Divaca con ultime modifiche relative) per portare chi, cosa e perché ancora non si sa?…
In ValSusa hanno incominciato vent’anni fa a chiederselo arrivando sempre alla stessa risposta: non serve ma tutti lo vogliono perché è una gran fonte di denaro, -il nostro-, per politici (dx e sx), cricca e mafia. Punto. Perciò si deve fare. Ecco, tutto qua. Semplice, lineare, come la linea tracciata sulla carta geografica.
Quello che sta facendo lo stato in Val Susa è come quello che fa uno stupratore quando una donna gli dice “no”; volutamente sordo alle sue ragioni, semplicemente non ascolta, non si tira indietro ma usa tutte le armi a sua disposizione per prendere ciò che desidera. Violenta.
Ed in ValSusa le armi del potere si sono viste tutte ma proprio tutte: criminalizzare, terrorizzare, picchiare, gasare, arrestare, intimidire e poi, grazie a media servi più servi dei servi, censurare e falsificare. Continuamente.
Quello che succede adesso in ValSusa è quello che lo stato è; nell’espressione di tutti i suoi governi, di Prodi come di Berlusconi e di Berlusconi come di Monti; arrivati al dunque, davanti all’accesso (opportunamente creato con il poject financing) alla grande mangiatoia si comportano tutti allo stesso modo: come una dittatura.
Dite voi, che significato ha che a Marta, una delle arrestate dopo la manifestazione del 3 luglio, sia negato il trasferimento richiesto per l’obbligo di dimora perché non ha mostrato resipiscenza?
Questo termine, come ha spiegato lei, che veniva usato durante il fascismo, indica “ l’atto del ravvedersi, riconoscendo espressamente il proprio errore”… ora, dal momento che Marta non aveva fatto niente se non fuggire dai lacrimogeni sparati, (ricordiamolo, ad altezza d‘uomo/di donna), il suo “errore” è essere No Tav, la sua resipiscenza perciò corrisponde all’abiura; perché questo si vuole: che non si possa più dire “NO!”, che non si deve dire “NO“, che non si può nemmeno pensare di dire “NO“!
La legge obiettivo è stata fatta per questo, i siti strategici di interesse nazionale sono stati fatti per questo, la militarizzazione è fatta per questo, l’esproprio coatto è fatto per questo.
Ciononostante, è “NO” ed ancora “NO!”. Semplicemente perché nessuna di noi può pensarsi in una terra colonizzata, ridotta ad un corridoio per passaggio di merci, ma ancor prima, devastata in un immenso cantiere, in un ladrocinio continuo mentre ci chiamano all’etica del sacrificio (tipo precarietà sempre, pensione mai!) e ci illustrano risibili misure di giustizia sociale.
Avremmo molte cose di cui parlare per questo 8 marzo, tra le quali inevitabilmente la violenza contro le donne, lo stalking, gli stupri, i femmincidi, la precarietà, lo sfruttamento, la crisi … ma abbiamo deciso di caratterizzare questa giornata come NoTav, perché questo ci pare una lotta imprescindibile, perché non possiamo essere come vogliamo in un ambiente trasformato in servitù.
Perché siamo solidali con tutt* quell* che stanno resistendo in Val Susa e perché non sopportiamo le prepotenze delle lobby economiche di nessun genere, meno che meno del Tav, perché alla fin fine l’8 marzo ricorda proprio la morte di donne, per la maggior parte europee immigrate in America, [e non dimentichiamo le/gli immigrati sfruttat* o deportati nei CIE, nostri lager del ventunensimo secolo!], morte sul lavoro nell’incendio della fabbrica nella quale lavoravano come schiave alla catena, ed il Tav, essendo che lo pagheremo noi tutt* sarà comunque la catena che imbriglierà il nostro futuro.
Ma come “No significa No“, “No Tav significa No Tav“. Sempre.