tratto da zeroviolenzedonne.it
Martedì 13 dicembre, abbiamo intervistato Lydia Cacho, ospite dell’Istituto Cervantes di Roma per presentare il libro “Memorias de una infamia”.
Lydia è una delle più note giornaliste investigative dell’America Latina e scrive notizie sui diritti delle donne, sulle violenze e anche sugli abusi a minori. Dal 2006 si è impegnata in prima persona nelle indagini e nella soluzione di casi irrisolti, ripetuti e numerosi, di abusi e omicidi di donne a Ciudad Juárez.
Le abbiamo chiesto, perché si usa il termine femminicidio?
L. Cacho: Femminicidio è il termine coniato per indicare violenza fisica, psicologica, economica e istituzionale rivolta contro la donna, attualmente utilizzato per il caso messicano di Juárez.
La parola omicidio è generale e semplicistica, la definizione di violenza contro le donne è “femminicidio” e non dobbiamo limitarci ad utilizzarlo solo per il Messico, poiché in tutto il mondo le donne sono uccise e maltrattate.
I giornali messicani come affrontano le notizie di violenza?
L. Cacho: Il tema del linguaggio è molto importante nell’ambito del giornalismo, la terminologia usata è maschile e si tende a colpevolizzare le donne quando si parla dei casi di violenza, però la battaglia di donne e di femministe sta lentamente cambiando la società e la cultura messicana.
Il femminismo italiano è molto importante, anche storicamente, le messicane e le italiane in questo momento parlano il “mismo idioma”.
Cosa significa essere una giornalista, femminista messicana?
L. Cacho: In Messico è in atto una guerra, dove le donne sono le più colpite, dal 2000 sono stati uccisi almeno 70 giornalisti mentre non è nota la sorte di altri 13, che sono stati rapiti. Io stessa sono stata sequestrata nel dicembre 2005, attualmente ricevo minacce sistematiche.
Il mio tipo di giornalismo è ostacolato e molti miei colleghi si sono trasferiti, soprattutto quelli che abitano al nord. Anche la vita delle attiviste per i diritti delle donne non è molto facile: il 3 dicembre scorso Norma Andrade, fondatrice di un’organizzazione di parenti di donne rapite o uccise a Ciudad Juárez , è stata vittima di un attentato in cui è rimasta ferita, racconta di aver dato la borsa agli aggressori che le hanno detto “non vogliamo nulla, solo te”.
Ci racconti il contesto messicano che descrivi nei tuoi libri e articoli giornalistici?
L. Cacho: Corruzione e impunità sono all’ordine del giorno e il governo messicano nasconde l’evidente, in questi giorni l’ambasciata messicana non è contenta che io sia qui… questo mi rende felice.
Le violazioni dei diritti umani attribuite alla polizia ed all’esercito e la corruzione dei dirigenti politici, frequentemente implicati nei reati di traffico di stupefacenti, costituiscono dei freni alle inchieste sugli attacchi o i crimini subiti dai giornalisti e dalle loro redazioni.
All’ultimo trimestre del 2010, l’8% degli effettivi della polizia federale messicana erano stati rinviati a giudizio per sospetti di collusione col narcotraffico. In questo contesto, le forze istituzionali, il vicino governo statunitense con anni di politiche neoliberiste e la Chiesa giocano un ruolo fondamentale.
In conclusione Lydia Cacho ribadisce di essere una “ciudadana activa” e che non concluderà mai la sua attività di scrittrice e femminista.